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CRETA: Gli ultimi pastori

Words by Alex KINGAlex Kind portraitPictures by Angelos CHRISTOFILOPOULOSAngelos Christofilopoulos portraitTranslation by Christian CAPONEChristian Capone portrait

In Europa è sempre più difficile vedere applicata la tradizione dei pastori che si spostano liberamente da un terreno all’altro. A causa dei processi di industrializzazione dell’agricoltura, sopravvivere lavorando come piccolo agricoltore è una sfida. Sull’isola greca di Creta, una tradizione millenaria rischia di scomparire.

A Malia, la stagione estiva è un rito di passaggio per adolescenti e ventenni provenienti da tutta Europa. Ogni anno, migliaia di persone si riversano nella località balneare sulla costa settentrionale di Creta. Vengono in cerca di sole e sesso, ovviamente. E passano il tempo ad arrostire sui lettini, ad ascoltare musica europop, o a bere alcolici acquistati al discount. Così, troppo spesso, finiscono a fare una gita al pronto soccorso.

Ma a pochi chilometri di distanza, dall’altra parte delle montagne che si ergono maestose sul mar Egeo, i giovani cretesi vivono una vita diversa. I loro riti di passaggio sono cambiati poco nel corso dei secoli – per intenderci: non ci sono aperitivi alcolici in vista. Invece che trastullarsi in spiaggia, sfogliando programmi di vacanze tutto incluso, alcuni giovani cretesi intraprendono una scelta poco convenzionale: diventano pastori seguendo le orme dei loro padri. E salgono in montagna, con un gregge di pecore al seguito.

Secoli di tradizioni

Sulla cima di un crinale, circondato da montagne alte migliaia di metri, si può scorgere l’altopiano di Lasithi che si estende come un’enorme coperta patchwork. Un cartello sbiadito ci accoglie nel ‘Comune di Lasithi: dove nacque Zeus ed ebbe inizio l’Europa’. Secondo la mitologia, Dikteon Andron, una grotta tentacolare fiancheggiata da stalattiti e situata ai margini dell’altopiano, è il luogo in cui nacque il re delle antiche divinità greche. Dopo tutto, questo è il luogo dove i Minoici giunsero dall’Africa più di 5mila anni fa e dove crebbero fino a diventare la prima civiltà avanzata d’Europa durante l’età del bronzo, imponendo la loro potenza militare, navale e commerciale su tutto il Mediterraneo.

Più umilmente, nella campagna che circonda il villaggio di Mesa Lasithi si estende un’infinità di fazzoletti di terra. Kosti Peponis, un pastore di 25 anni, è seduto a cavallo del suo trattore. Sta arando la ricca terra dal colore marrone, prima di piantare il fieno per il suo gregge. È un uomo snello con ai piedi degli stivali ormai ridotti a brandelli. Sul volto si estende un sorriso contagioso. «Quando non mi occupo delle pecore, lavoro i campi», spiega Kosti, una volta finito. «Coltiviamo anche le patate, ma anche con quelle riusciamo solo a coprire le spese. Non ci resta quasi nulla in tasca. Siamo sempre costretti a inventarci qualcosa di nuovo per poter dar da mangiare ai nostri figli, alle nostre famiglie».

È un pomeriggio di fine novembre e il sole sta tramontando. Kosti vuole raggiungere le sue pecore prima che cali la notte. Dagli alpeggi estivi in alta montagna, gli animali sono stati portati in un recinto invernale alberato. Stanno dando alla luce nuovi agnelli. «Se torno indietro nel tempo, per quanto mi ricordi, mi sono sempre piaciute le pecore», dice. «È una passione. Quando sono vicino al mio gregge, mi sento tranquillo».

Mentre Kosti riempie le mangiatoie di mangime e fieno, Iro, sua moglie, arriva con il loro figlio più piccolo, Agisilaos. Ha quindici mesi. Iro viene da Serres, nel nord della Grecia continentale. Lei ha la stessa età di Kosti. I capelli scuri raccolti in uno chignon, la voce calorosa, ma ferma. Kosti e Iro si sono conosciuti alla scuola di agraria. Dopo il matrimonio sono tornati al villaggio di Kosti per mettere su famiglia. Vestito con una morbida tutina blu con un cappuccio da orsacchiotto, Agisilaos si sposta accanto al padre che lavora. Ben presto la curiosità supera la paura e lo sguardo del piccolo non abbandona più il gruppo di pecore che lo sovrastano.

«Quando sono tornato dal servizio militare, a 21 anni, ho preso dieci pecore del gregge di mio padre», spiega Kosti. Poi ho fatto crescere il loro numero fino ai circa 200 capi di oggi. Ogni anno cerco di aumentare la qualità delle pecore, del loro latte, degli agnelli. Si imparano sempre cose nuove qui. E devi anche saper fare il medico, al momento giusto. Peccato che le pecore non parlino: devo essere in grado di interpretare le più sottili differenze nei miei animali. Del resto, un pastore deve stare con le sue bestie da quando si sveglia fino a quando va a dormire, 365 giorni all’anno. Non c’è tempo per le vacanze».

Albero rosso, vista dell’altopiano di Nida.
Albero rosso, vista dell’altopiano di Nida.

Agisilaos sa cosa sta per succedere. Così, si avvicina al recinto e tira verso di sé la corda che tiene chiuso il cancello. Anche le pecore conoscono il gioco e si mettono pazientemente in fila dietro al bambino, desiderose di essere nutrite. Poi Kosti finisce i preparativi, prende in braccio il bambino e apre il cancello. Agisilaos osserva rapito come le pecore attraversano tutte insieme l’apertura come un fiume di lana sporca, belando al passaggio.

Ha paura? «Solo di quelle più grandi», dice Iro. Kosti mette giù Agisilaos e si dirige verso uno dei gruppi di agnelli che giocano insieme. Le pecore si allontanano, ognuna in una direzione diversa, ma lui riesce a prenderne uno per le zampe posteriori. Lo culla tra le braccia, prima di avvicinarlo ad Agisilaos, che stringe l’animale in un abbraccio forte – è visibilmente contento. In seguito, Kosti aiuta il bambino a portare l’agnello a Iro. «Io ero come lui quando ero piccolo. È così che tutto ha avuto inizio», spiega Kosti mentre guarda Agisilaos con gli occhi pieni di orgoglio.

Per secoli, sull’isola di Creta, quello del pastore è stato un mestiere tramandato di generazione in generazione: il figlio vedeva l’esempio del padre e poi, a sua volta, passava la conoscenza dell’allevamento e della coltivazione a chi veniva dopo; e così via, un decennio dopo l’altro. Ma oggi, la catena che collega le generazioni minaccia di spezzarsi. Quando arriviamo alla sua casetta nel villaggio, Kosti ci fa assaggiare il suo formaggio e il suo raki (distillato alcolico tipico della Grecia e di altri paesi dell’area dei Balcani). E ci spiega come la vita del villaggio si stia lentamente, ma inesorabilmente spegnendo.

«Quando avevo 12 anni, ricordo che nella piazza del villaggio c’erano quasi un centinaio di bambini», ammette – lo sguardo che si rattrista. «Ora è praticamentee deserta. Io sono l’unico padre con bambini da crescere. Sono solo. La maggior parte della gente qui ha più di 75 anni».

Tra il 2008 e il 2016, ovvero in seguito alla più grave recessione economico-finanziaria dell’Unione europea, e dopo lo scoppio la crisi del debito greco, il livello di attività economica del paese ha subito una contrazione pari a un quarto del pil. Le nuove generazioni sono quelle che hanno sofferto più di tutte, con un tasso di disoccupazione giovanile che, in alcuni degli ultimi anni, ha superato il 50 per cento. Da allora, i giovani costituiscono la maggioranza del quasi mezzo milione di greci che sono stati costretti a emigrare alla ricerca di migliori opportunità. Eppure, l’immensa isola di Creta si è dimostrata più resistente alla crisi, trainata dal turismo e dal settore agricolo. Di conseguenza, un numero relativamente inferiore di giovani hanno lasciare la loro terra. In generale, in Grecia, l’emigrazione è stata molto più forte dalle aree urbane che da quelle rurali. Infatti, l’enorme produzione di olive alimenta ogni anno un’ondata di persone provenienti anche dall’estero – per esempio, dall’Albania – che cercano un impiego stagionale. E così, nelle zone rurali, molti ragazzi crescono considerando la pastorizia come uno scenario possibile. Alcuni non vedono l’ora di lasciare la scuola per iniziare. Eppure, per pastori come Kosti, la realtà è tutt’altro che semplice.

«Fare il pastore vuol dire lottare sempre», continua Kosti. «Combatti per trovare soluzioni e farle funzionare. Ma alla fine di ogni anno, quando conto le entrate e le uscite, il bilancio è al massimo in pareggio. Una parte di me coltiva ancora la speranza che le cose possano migliorare. Ed è per questo che vado avanti. Ma se le cose continueranno così, forse dovremo andarcene anche noi. Il solo pensiero, mi fa davvero star male».

Tanti rischi, pochi ricavi

Arroccato a 740 metri di altezza, sulla parete nord del monte Psiloritis, Anogeia è un villaggio famoso in tutta la Grecia per le sue storiche dimostrazioni di coraggio contro gli invasori ottomani, prima, e tedeschi poi (durante la Seconda guerra mondiale). Grazie ai settori dell’agricoltura e del turismo – relativamente più sviluppati rispetto a Mesa Lasithi -, Anogeia è più grande e più prospera del primo villaggio. Di conseguenza, Anogeia vanta anche una vita sociale più dinamica. Dopo una mattinata di lavoro, Kostas Sbokos si rilassa con alcuni amici davanti a un caffè e delle sigarette presso un kafeneio (‘caffè’, tdr.). Kostas è una figura imponente: ha spalle larghe, una folta barba nera e indossa pantaloni mimetici. Ma allo stesso tempo è premuroso e accogliente. Una volta riposato, salta su una vecchia Lada 4×4 e si dirige verso il fienile dove il suo gregge passa l’inverno.

Kostas e suo cugino Andreas Sbokos, entrambi venticinquenni, puliscono il fienile, preparano il mangime e portano le pecore fuori dalle piste per mangiare all’interno della struttura. «Si vede che questa terra è stata sfruttata troppo», spiega Kostas. «Le pecore consumano tutto e non rimane più niente. Ma durante l’estate è più facile. Le pecore vagano libere, più in alto sulle montagne. Qui ci sono ancora dispute per appezzamenti di terra che possono anche degenerare – di recente c’è stato un omicidio in zona». La vendetta è stata a lungo una pratica caratteristica della vita rurale a Creta. Le dispute tra famiglie vengono risolte con la violenza. E anche se sono state a lungo caratterizzate da un declino, le faide, ogni tanto, finiscono ancora con la morte.

Quando il gregge è confinato nel recinto, l’alimentazione e le vaccinazioni sono costose. Per sei mesi, Kostas e Andreas mungono a mano 600 pecore la mattina e la sera. «Il latte è molto forte, con un alto contenuto di grassi. Ciò si deve all’altitudine, all’erba e al trifoglio verde che finisce nella dieta degli animali», spiega Kostas. «Anche la carne è di altissima qualità e di un colore rosso vivace: non ha nulla a che vedere con l’agnello prodotto industrialmente, un prodotto ‘gonfiato’ artificialmente – ormai sono dei mostri. Ma è più economica e questo fa abbassare anche il prezzo della nostra carne. Il prezzo al chilo del nostro agnello è così basso che in tasca non ci rimane quasi nulla».

Dopo la mungitura, le pecore tornano al pascolo e vengono ricongiunte con i loro agnelli, 400 dei quali sono nati nelle ultime settimane. Kostas ne preleva uno nato da poco, da un piccolo recinto. È ancora sporco di liquido amniotico. Come Kosti, anche Kostas è cresciuto insieme alle pecore fin da quando era bambino. Ma ha anche viaggiato molto. Eppure, questa è la vita che ha scelto.

«Sono stato ad Atene, in Turchia e in Italia», racconta Kostas. «Vado, mi diverto e poi me ne torno a casa. Le città sono tremendamente restrittive. Non ce la facevo più ad aprire la porta la mattina e a vedere il cemento: Atene è una giungla. Qui siamo una piccola comunità, ma molto unita. Ci godiamo la libertà. Sei il capo di te stesso».

Kostas ha uno smartphone, Facebook e un account Instagram – come qualsiasi altro giovane della sua età in Europa. Vivendo ad Anogeia, non si sente isolato. Tanto meno, ha la sensazione di perdersi qualcosa di importante. In tutto ciò, gode anche anche del sostegno della sua famiglia che possiede un albergo nel villaggio. Ma la pressione sui piccoli produttori preoccupa sia Kostas che Andreas: «Mi sono costruito una vita qui; ho il mio lavoro e non mi va di andarmene», dice Kostas, prima di ammettere. «Ma se avessi saputo a cosa sarei andato incontro, avrei fatto qualcos’altro». Andreas gli fa eco: «Se le cose non cambiano, non c’è futuro per noi. Non ne vale la pena. L’unica cosa che ti resta alla fine di una giornata di lavoro è la stanchezza».

Iro Peponis (25) nella sua macchina vicino al villaggio di Mesa Lasithi. Il paese si trova nella parte orientale di Creta sull’altopiano di Lasithi, a 850 metri sul livello del mare.
Iro Peponis, 25 anni, nella sua macchina vicino al villaggio di Mesa Lasithi. Il paese si trova nella parte orientale di Creta sull’altopiano di Lasithi, a 850 metri sul livello del mare.

Un futuro che muore?

Sopravvivere come piccolo produttore tradizionale sembra diventare ogni anno più difficile. E le cose non sono facili nemmeno per Kosti. Vorrebbe avere i fondi per costruire una struttura moderna per le sue pecore. I primi sussidi ricevuti dalla Politica agricola comune (PAC) dell’Unione europea sono stati di molto inferiori a quanto si aspettava e non incideranno granché sulla sua situazione. I costi di avviamento, i permessi e le certificazioni di cui ha bisogno per poter costruire un caseificio biologico tradizionale gli rendono pressoché impossibile avviare un’attività. I prodotti cretesi, in particolare l’olio d’oliva, sono molto ricercati e spesso vengono venduti in tutta Europa. Ma trovare mercati all’estero e guadagnarsi la certificazione biologica si rivela spesso troppo complesso o costoso.

La vista dalla casa di Kosti e Iro sui tetti del piccolo villaggio di Mesa Lasithi.
La vista dalla casa di Kosti e Iro sui tetti del piccolo villaggio di Mesa Lasithi.

«Non ho mai avuto l’impressione di vivere ai margini della Grecia», dice. «Sono cretese, greco ed europeo – è importante. Chiaramente avverto un legame e un senso di sicurezza. Ma i governi e gli intermediari che si sono succeduti hanno rovinato gli allevatori e gli agricoltori. Credo che stiano cercando di distruggere la Grecia come produttore primario e di trasformarla esclusivamente in una destinazione turistica. Ma non tutti possono avere un albergo a Malia».

Molti piccoli produttori in tutto il Continente si sono lanciati nella filiera dell’eco-turismo come attività per sopravvivere. Ma Mesa Lasithi è lontana dalle mete turistiche più note e i costi che una simile transizione comporterebbe implica dei rischi. Per ora tutto questo rimane al di fuori dalla portata di Kosti.

A volte può sembrare che Kosti stia combattendo una battaglia solitaria. Eppure lui sa di avere dalla sua parte il sostegno della sua famiglia: lavora nei campi con il padre, mentre la madre aiuta i figli quando lui e Iro sono fuori a lavorare. «Ho sempre voluto avere dei figli, una famiglia, ma purtroppo sono tempi difficili», dice Kosti. «Voglio che i miei figli si impegnino a scuola, così che un giorno non siano schiavi di questo mestiere. Studiare o imparare una lingua straniera apre diverse strade; potrebbero comunque scegliere un lavoro a contatto con gli animali. Magari come veterinario, come professionista».

Vista dell’altopiano di Nida.
Vista dell’altopiano di Nida.

La giornata di lavoro è finita, si è fatto buio, le pecore sono state riposte al sicuro e lui è a casa con la sua giovane famiglia. Kosti è rilassato e soddisfatto. Il trattore è parcheggiato, la legna brucia nel camino, Iro sta preparando della torta sfakia con il formaggio delle loro pecore. Il canale della TV a schermo piatto appesa al muro trasmette una partita di calcio; Lefteris, il figlio di cinque anni di Kosti, non stacca gli occhi dallo smartphone con cui sta giocando a un videogioco, mentre Agisilaos saltella e ride nella culla. Mentre Kosti si sdraia sul divano e inizia a lottare per gioco con Lefteris, il calore che emana la sua casa lo rende un uomo ricco. Ha tutto quel che conta nella vita.

«Una volta, quando le cose si erano messe davvero male, a malincuore, ho pensato di andarmene», ammette Kosti. «Ma io sono nato e cresciuto qui. Non voglio lasciare la mia terra e non voglio lasciare i miei animali. Quando vedo una pecora malata, sento un dolore dentro di me e, una volta guarita, mi sento meglio anche io. Sono legato a queste bestie e alla mia terra. Questa è la mia passione».